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ALZHEIMER E FAMIGLIA
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Sezione è dedicata ai problemi che insorgono nelle famiglie con pazienti affetti da Alzheimer
- Quali accorgimenti si devono adottare se il malato vive solo?
Ecco alcuni suggerimenti generali che è bene tenere in considerazione
LA SICUREZZA
• Trovare un tipo di serratura per porte e finestre che garantisca la massima sicurezza.
• Mettere sotto chiave qualsiasi cosa possa rappresentare un pericolo (es. coltelli, forbici, apparecchi elettrici complicati da utilizzare..).
• Procurarsi una copia delle chiavi per i casi d’emergenza.
• Controllare che l’impianto di riscaldamento e la rete domestica a metano sia sicura oltre che a norma; la cosa migliore è un sistema automatico.
• Controllare l’impianto elettrico; potrebbe essere necessario cambiare i fili, specialmente se il malato vive nella stessa casa da molti anni, potrebbero essere logori e pericolosi.
LA QUOTIDIANITA’
• Cercare di andare a trovarlo spesso e telefonate con regolarità; tutto questo anche per sincerarsi che il proprio caro stia bene o non abbia bisogno di qualcosa. Inoltre, in questo modo, si rompe anche l’isolamento di chi vive solo e si crea una sorta di routine che scandisce il tempo.
• Aiutarlo a sbrigare le faccende e le formalità quotidiane; potrebbe essere d’aiuto fare un po’ di spesa e portarla a domicilio al malato, oppure prendere accordo con i commercianti che, nel caso il proprio caro abbia difficoltà a gestire il denaro ma abbia ancora le energie per fare un po’ di spese, il familiare si occuperà poi del pagamento.
• Tenere d’occhio il suo stato di salute e accertarsi che si nutra adeguatamente. Il familiare dovrebbe prestare attenzione e fissare regolarmente delle visite mediche periodiche; inoltre, deve accertarsi che i farmaci vengano presi correttamente e con regolarità (magari preparandoli il giorno prima). E’ importante eliminare ogni farmaco scaduto o inutile, per non generare confusione.
• E’ sempre bene sincerarsi che i cibi scaduti o deteriorati siano eliminati dal frigo o dalla dispensa, che la pattumiera sia svuotata regolarmente e che le pulizie domestiche e personali siano effettuate con continuità.
• Suggerire al malato alcune attività piacevoli che gli permettano di trascorrere il tempo e di percepire meno la solitudine: portargli libri o giornali da leggere, procurargli materiali musicali e video, oppure materiale per poter magari colorare o dipingere.
Dr.ssa Paola Milani
Psicologa del Consultorio
Centro Esperto delle Demenze
- Cosa posso fare per compensare i cali di memoria e il disorientamento di un malato di Alzheimer?
L’ambiente che ospita il paziente demente e la sua organizzazione devono aiutarlo a sapere CHI È e DOVE È: mantenere il più a lungo possibile la persona al proprio domicilio e conservare i legami con il passato è naturalmente il modo più efficace per sostenere la memoria ed evitare il disorientamento: tutti quanti sappiamo che all’interno della nostra casa ci sentiamo sicuri e protetti e possiamo muoverci anche al buio. Ma quando questo non è possibile, ricordiamo che particolare importanza sembrano avere gli oggetti personali (quadri, fotografie, mobili e soprammobili). Fornire un’informazione corretta è un altro principio di grande importanza cui attenersi: è un grave sbaglio avvallare gli errori presenti nell’ideazione e rispondere alle inesattezze che il malato dice, come se fossero vere: ad esempio è un errore assecondare la sua voglia di uscire se l’orario non è consono. Al contrario, è importante attuare continuamente una sorta di strategia riabilitativa fornendo informazioni corrette, evitando di parlargli come ad un bambino, ma utilizzando parole semplici e frasi brevi. Le domande devono essere semplici e costruite in modo da evitare risposte a scelta multipla: per esempio mai chiedere “cosa vuoi per cena?” ma preferire le alternative: “vuoi il pollo o il pesce?”. Bisogna inoltre cercare di sviluppare anche i mezzi non verbali di comunicazione (segni, gesti corporei, mimiche, tono della voce). Anche la scansione dei tempi e degli eventi della giornata, rispettando per quanto possibile i ritmi di ciascun soggetto, deve mantenersi costante nel tempo (utile è l’utilizzo di grandi orologi e calendari-agende dove segnare i vari impegni) tenendo comunque in considerazione che la persona con demenza perde abbastanza rapidamente la capacità di leggere l’orologio (di seguito sono riportati alcuni esempi di orologi disegnati dai nostri pazienti). È importante ridurre i rumori inutili, gli stimoli eccessivi e le attività caotiche per evitare l’aggravarsi dello stato confusionale e la distrazione. Ricordiamo sempre che il fragile equilibrio della persona con problemi cognitivi si spezza facilmente.
Dr.ssa Paola Milani
Psicologa
del Consultorio-Centro Esperto delle Demenze
- Cosa posso fare in presenza di disturbi comportamentali di un malato di Alzheimer?
Ecco alcuni suggerimenti per gestire possibili disturbi comportamentali
AGITAZIONE
Il comportamento agitato nelle persone affette da demenza è presente in percentuali variabili (dal 25% al 93%) a seconda degli studi, sembra manifestarsi maggiormente durante la vestizione, durante la somministrazione dei farmaci o quando i pazienti vengono messi a letto. Dal momento però che questi atti quotidiani devono comunque essere svolti, si può ricorrere alla distrazione del malato per compiere le manovre necessarie, ammortizzando le sue reazioni aggressive. Per ogni persona esiste qualcosa di interessante ed attraente, questo vale anche per chi ha problemi di memoria: può essere una vecchia canzone o una filastrocca, l’importante è che sia concentrato su qualcosa di alternativo. In ogni caso sembra inutile insistere se la prima risposta è stata negativa, si può allora rinviare ad un secondo momento la proposta ed eventualmente, se possibile, cambiare la persona che ha proposto una certa attività.
DELIRI ED ALLUCINAZIONI
Se il malato è convinto di vedere o sentire cose che non sono vere è bene non smentirlo e dimostrargli che comprendiamo il suo stato d’animo, mai deriderlo ma cercare di tranquillizzarlo e riportarlo alla realtà.
WANDERING
Per i pazienti che manifestano wandering (errare senza meta), la possibilità di disporre di spazi preferibilmente aperti, garantisce la possibilità di deambulare con sicurezza. La riduzione di questo fenomeno è inoltre ottenibile con l’ausilio di stimoli che facilitino l’orientamento e con la programmazione di attività della giornata. Può essere utile dotare i soggetti che tendono alla fuga di una targhetta od altri sistemi di riconoscimento. Appare utile l’utilizzo di sistemi di chiusura delle porte che evitino una facile uscita (chiavi speciali). Attenzione al tipo di calzature, evitare l’uso di ciabatte che in genere non consentono un appoggio sicuro e non sostengono la caviglia.
AMBIENTE
L’organizzazione degli spazi dovrà prevedere l’eliminazione di ostacoli, la scelta di ausili e arredi (poltrone, letti, stoviglie) sicuri, l’adozione di ausili per l’equilibrio e la deambulazione. L’illuminazione deve essere adeguata. Le sostanze nocive (farmaci, detersivi) e gli apparecchi elettrici (phon) devono essere opportunamente custoditi in luoghi non facilmente raggiungibili. Nel bagno dovrebbero essere presenti le sbarre di sostegno ed i tappetini antiscivolo nella vasca o nella doccia. Il vestiario sarà composto di capi facili da mettere e da togliere, evitando dunque lacci e bottoni.
Dr.ssa Paola Milani
- Mia madre è affetta da Alzheimer e purtroppo ho forti reazioni da stress...
Prendersi cura costantemente del proprio caro malato può essere molto pesante e stancante, sia fisicamente che psicologicamente. E’ indispensabile che il familiare possa prendersi del tempo per se stesso per “evadere” qualche ora dalla situazione stressante. Nonostante per molti familiari sia difficile trovare il modo per farlo, vale la pena di trovare il modo per dedicare qualche tempo a se stessi (frequentare gli amici, un gruppo di incontro, fare sport, coltivare un proprio interesse). L’esperienza di questi anni con i familiari delle persone affette da demenza, porta ad individuare sul piano psicologico delle reazioni abbastanza tipiche, ma che vengono vissute spesso con vergogna da chi le prova; al contrario far capire che tali reazioni son del tutto normali può essere un primo necessario passaggio per aiutare un familiare in “crisi”. Vediamole assieme:
• Rabbia: è comprensibile che il familiare si senta frustato ed arrabbiato. Può essere utile far riflettere il familiare sulla differenza tra l’essere arrabbiato per il comportamento del malato o l’essere arrabbiato con lui. Può servire trovare degli sfoghi per le proprie frustrazioni, come ad esempio parlarne con qualcuno, fare una passeggiata o concedersi del tempo per fare un’attività piacevole.
• Senso di colpa: i familiari spesso si sentono in colpa per il modo in cui trattano o hanno trattato il malato, perché magari si vergognano di alcuni comportamenti del proprio caro, perché perdono la pazienza e rispondono male o ancora perché pensano di mandarlo in casa di riposo. La cosa importante è che il familiare sia consapevole dei propri sensi di colpa e che questi non interferiscano con le scelte che si trova a dover compiere.
• Depressione: il familiare spesso può provare un senso di tristezza e di scoraggiamento, può non aver fame, faticare a dormire e sentirsi nervoso o irrequieto. A volte un aiuto psicologico può ridurre la depressione, o meglio, quando essa va al di là della naturale sensazione di scoraggiamento provata dal familiare, è necessario l’intervento del medico.
• Imbarazzo e isolamento: spesso il comportamento del malato di demenza può essere fonte di vergogna e di imbarazzo per il familiare e di conseguenza causa di una tendenza all’isolamento, evitando parenti ed amici. Questi sentimenti spiacevoli, come la vergogna e l’imbarazzo, però tendono paradossalmente a ridursi nel momento in cui si condividono e se ne parla con altre persone; è utile quindi spiegare la propria situazione o i propri vissuti ai parenti o agli amici più stretti, contribuendo al sentirsi meno soli e guadagnandosi la comprensione degli altri.
L’eccessiva preoccupazione, l’insonnia, l’abuso di alcolici o di caffè, il manifestarsi di troppa rabbia incontrollabile da parte del familiare, sono tutti campanelli d’allarme che richiedono, il più delle volte, l’intervento del medico per trovare la soluzione migliore.
Dr.ssa Paola Milani
Psicologa
- Mio padre è affetto da Alzheimer e temo che manifesti sintomi di allucinazioni ma non ne sono certo...
Tecnicamente l'allucinazione è una falsa percezione in assenza di uno stimolo esterno reale. È spesso definita in psicopatologia “percezione senza oggetto”. Il termine deriva dal latino hallucinere o allucinere, che significa “vagare nella mente”. Le allucinazioni vengono pertanto classificate fra i disturbi della percezione e si possono verificare in ognuna delle modalità sensitive, in particolare riconosciamo allucinazioni visive, uditive, gustative, olfattive e tattili. Se il paziente manifesta allucinazioni, può vedere o sentire persone che non ci sono: per esempio, vedere figure ai piedi del letto o udire persone che stanno parlando nella stessa camera. Nella pratica clinica, mi è capitato spesso di chiedere ai familiari se i loro cari malati di demenza hanno le allucinazioni e molto spesso la prima risposta è negativa; se poi si prosegue nel colloquio con alcune domande mirate si scopre invece che questo disturbo è molto più frequente di quanto non possa sembrare.
Ecco allora di seguito un breve schema di domande a cui un familiare può cercare di rispondere autonomamente per valutare l’effettiva presenza di allucinazioni:
1. Il malato dice di sentire delle voci o si comporta come se le sentisse?
2. Il malato parla con persone che non sono presenti?
3. Il malato riferisce di vedere cose che gli altri non vedono o si comporta come se vedesse cose che gli altri non vedono (come persone, animali) ?
4. Il malato dice di sentire odori che gli altri non sentono?
5. Il malato riferisce di sentire cose che strisciano o lo toccano sulla pelle?
6. Il malato riferisce di percepire sapori senza aver mangiato?
7. Il malato riferisce altre esperienze sensoriali insolite?
Se avete risposto SI ad almeno una domanda, probabilmente il vostro caro ha oppure ha avuto episodi di tipo allucinatorio.
Che fare? Ecco alcuni suggerimenti:
• non discutere circa la veridicità delle esperienze visive o uditive riferite dal paziente;
• quando la persona è spaventata, tentare di rassicurarla; una voce calma o il contatto di una mano possono servire a tal fine;
• distrarre il paziente richiamando la sua attenzione su un oggetto reale che si trova nella camera;
• consultare il proprio medico a proposito della terapia farmacologica in corso, che potrebbe contribuire al manifestarsi del problema.
Dr.ssa Paola Milani
Psicologa
- Sto assistendo a un familiare ammalato di Alzheimer che a volte delira accusandomi di derubarlo....
Il termine “delirio” deriva dal latino lira, "solco", per cui delirare significa etimologicamente "uscire dal solco", ovvero dalla dritta via della ragione. In psichiatria, il termine delirio indica una varietà di stati mentali confusionali in cui l'attenzione, la percezione e la cognizione del soggetto appaiono significativamente compromesse. In questo caso è meglio utilizzare il termine Delirium.
Di per sé il delirium non è una patologia quanto una sindrome (un complesso di sintomi) che può presentarsi in diverse forme, essere acuta o cronica ed essere espressione di una sofferenza metabolica del cervello che può avere molteplici cause. Se il paziente ha avuto episodi di delirio può credere cose che non sono vere; per esempio, insiste sul fatto che qualcuno sta cercando di fargli del male o di rubargli qualcosa oppure dice che i componenti della famiglia non sono chi dicono di essere, o che la casa dove abita non è la sua. Nella pratica clinica, mi è capitato spesso di chiedere ai familiari se i loro cari malati di demenza soffrono di deliri e molto spesso la prima risposta è negativa, se poi si prosegue nel colloquio con alcune domande mirate si scopre invece che questo disturbo è molto più frequente di quanto non possa sembrare. Ecco allora di seguito un breve schema di domande a cui un familiare può cercare di rispondere autonomamente per valutare l’effettiva presenza di deliri:
1. Il malato crede di essere in pericolo o che qualcuno voglia fargli del male?
2. Il malato crede che qualcuno lo stia derubando?
3. Il malato crede che il/la proprio/a marito/moglie lo tradisca?
4. Il malato crede che ospiti indesiderati vivano nella sua casa?
5. Il malato crede che il/la proprio/a marito/moglie od altre persone non siano in realtà chi dicono di essere?
6. Il malato crede che la propria abitazione non sia casa propria?
7. Il malato crede che i familiari vogliano abbandonarlo?
8. Il malato crede che le immagini della televisione o le fotografie delle riviste siano realmente presenti in casa? [Cerca di interagire con esse?]
Se avete risposto SI ad almeno una domanda, probabilmente il vostro caro ha oppure ha avuto episodi di tipo delirante.
Che fare?
Ecco alcuni suggerimenti:
• non discutere circa la veridicità delle convinzioni riferite dal paziente; questo spazientisce noi e di solito non sortisce nessun effetto benefico.
• Fornire un’informazione corretta, attuare continuamente una strategia riabilitativa, evitando di parlargli come ad un bambino, ma utilizzando sempre parole semplici e frasi brevi.
• Quando la persona è spaventata, tentare di rassicurarla; una voce calma o il contatto di una mano possono servire a tal fine;
• non parlare contemporaneamente ad altre persone e soprattutto non parlargli se ci sono radio o televisori accesi.
• Non chiamarlo da una stanza all’altra ma porsi sempre di fronte a lui se vogliamo comunicargli qualcosa.
• Riferire di tali episodi al proprio medico.
Dr.ssa Paola Milani
Psicologa
- Mi sto vedendo costretta a prendere una badante ma sono disorientata...
I ritmi di vita della società moderna talvolta non permettono di dedicare alle persone che si amano tutto il tempo di cui necessitano. Pertanto sempre più spesso si rende necessario affidare i propri cari più fragili a persone estranee alla famiglia. In particolare nel caso di assistenza a persone con demenza, la presenza di un aiuto domestico è molto spesso l’unica opzione che permette al proprio caro di rimanere il più a lungo possibile a casa. Chiunque si occupi di questi malati, familiari e assistenti, per poter convivere con loro, deve avere conoscenze condivise e deve saper affrontare situazioni e cambiamenti in modo simile.
PER I FAMILIARI
Si arriva a decidere di far entrare una persona nella propria casa, per assistere un familiare, quando si riconosce di aver bisogno di un aiuto: spesso si è già stanchi e delusi di non essere in grado di fare da soli. Le tensioni possono essere molte così come le aspettative. All’inizio vi sarà sicuramente un momento di studio reciproco. Spesso le persone che aiutano nell’assistenza gli ammalati di Alzheimer non sanno nulla dei disordini cognitivi e comportamentali: ad esempio possono non sapere che non potranno mai lasciare solo il malato, che dovranno stare tanto tempo in casa senza poter uscire o ricevere visite e così via. Sarà necessario imparare a riconoscere che il loro lavoro è davvero importante e che è necessario stabilire un rapporto basato sull’alleanza e la collaborazione. E’ importante contrattare subito la questione economica, le visite, le telefonate, i pasti ed i periodi di riposo. Il lavoro svolto richiede un grande impegno psicologico e fisico, ed è anche nell’interesse della famiglia e dell’ammalato salvaguardare la salute dell’assistente. E’ necessario dare indicazioni chiare e precise su vari aspetti della gestione del malato: alimentazione, abbigliamento, sonno, igiene, farmaci. E’ necessario dare un recapito telefonico di un medico di riferimento e dei familiari stessi.
PER LE “ BADANTI”
All’inizio di ogni nuovo lavoro si potranno incontrare molte difficoltà, non ci si deve però scoraggiare ed è fondamentale chiedere aiuto ai familiari e/o al medico di famiglia. La malattia man mano che si aggrava, cambia i comportamenti del malato: ad esempio potrebbe svegliarsi nel cuore della notte e vestirsi per uscire, potrebbe non riconoscere chi lo viene a trovare o chi vive con lui e addirittura potrebbe scambiarlo per un ladro o un malfattore; potrebbe scambiare la propria badante per un familiare (figlia o moglie) ed avere atteggiamenti disinibiti. Alcuni malati non vogliono mangiare e non vogliono essere lavati, altri passano tutto il tempo della giornata sulla poltrona con lo sguardo perso nel vuoto. Ogni persona è diversa dall’altra, perciò ogni volta si dovrà trovare il modo migliore per entrare nel suo mondo. Sicuramente sono necessarie elevate dosi di dolcezza e pazienza. Per avere un buon rapporto con la famiglia dell’assistito, è meglio definire sin dall’inizio le condizioni: capire se le richieste della famiglia sono realizzabili, se è possibile ricevere visite e/o telefonate, se è richiesto di gestire i soldi per la spesa e la casa. Capire le abitudini consolidate del malato (come mangia,si veste, ecc...) aiuterà a mantenere il più a lungo possibile le sue capacità. E’ fondamentale chiarire orari e modalità di assunzione delle medicine, se ci sono dubbi è necessario rivolgersi ai familiari o ad un medico di riferimento.
Dr.ssa Paola Milani
Psicologa
- Assisto un malato di Alzheimer e ultimamente manifesta aggressività...
In alcuni momenti i malati di demenza possono avere comportamenti ingiustificatamente aggressivi, di agitazione irragionevole. Per esempio possono aggredire il familiare o altre persone verbalmente (mettersi a gridare, insultare, ecc.), oppure mostrarsi aggressivi fisicamente (picchiare, mordere, graffiare, ecc). Il familiare deve tener conto che nei comportamenti aggressivi del malato non c’è solitamente l’intenzione consapevole di ferire (verbalmente o fisicamente) e che la rabbia non è rivolta verso di lui, ma costituisce l’espressione della malattia: infatti, da un lato il danno cerebrale stesso provocato dalla malattia può modificare o accentuare alcuni aspetti negativi del carattere, dall’altro talvolta la reazione aggressiva può essere dovuta ad una reazione da parte di una persona che non riesce a comprendere cosa gli sta succedendo intorno, provocando uno stato di confusione e di agitazione. È pertanto fondamentale saper riconoscere la presenza di comportamenti agitati od aggressivi; ecco alcune domande che possono aiutarci a farlo.
1. Il malato ha periodi durante i quali rifiuta di collaborare o durante i quali non si lascia aiutare dagli altri? È difficile da gestire?
2. Il malato diviene irritato con chi cerca di assisterlo o resiste ad attività come il bagno od il cambio dei vestiti?
3. Il malato è ostinato, volendo le cose fatte a modo suo?
4. Il malato non collabora, resiste se aiutato da altri?
5. Il malato presenta altri comportamenti che rendono difficoltosa la sua gestione?
6. Il malato grida o bestemmia in modo arrabbiato?
7. Il malato sbatte le porte, da calci ai mobili, lancia gli oggetti?
8. Il malato tenta di far male o di colpire gli altri?
Di fronte a queste situazioni bisognerebbe agire:
– tentando di rimanere il più calmi possibile, parlando con tono pacato e trattenendosi da eventuali reazioni istintive di rimprovero o di punizione del malato, proprio perché la maggior parte delle volte egli non è cosciente della irragionevolezza delle sue azioni.
– cercando di individuare l’eventuale causa che ha scatenato la reazione aggressiva , per poter poi prevenire il ripetersi della stessa situazione.
– mantenendo l’ambiente in cui vive il malato il più calmo e sereno possibile, attraverso delle abitudini e delle azioni di routine che comportano una minor possibilità di manifestazione di episodi confusionali.
– distraendolo dal fulcro della sua aggressività, invitandolo a indirizzare la sua attenzione su altri argomenti.
– parlare col medico di fiducia per l’eventuale prescrizione di farmaci adeguati per placare gli episodi di agitazione.
Dr.ssa Paola Milani
Psicologa
- Il paziente assume atteggiamenti disinibiti; che fare?
La Disinibizione è un termine che in psicologia viene usato per descrivere genericamente la mancanza di moderazione e si può manifestare in diversi modi, tra cui il disprezzo per le convenzioni e le regole sociali, l’impulsività e la scarsa valutazione dei rischi. In termini tecnici la disinibizione è un processo, di qualunque eziologia, che si traduce con una ridotta capacità di modificare o gestire la propria risposta immediata ad una situazione di stimolo.
Proviamo a fare un esempio: se una persona è alla guida dell’automobile e viene tamponata, magari può avere come primo impulso quello di scendere dall’auto e di arrabbiarsi con il «tamponatore». Le convenzioni sociali ed il codice della strada ci insegnano invece che è bene non perdere la calma ed attuare le strategie di risoluzione del problema, nel caso specifico di compilare il modulo di constatazione amichevole. La persona disinibita invece perde la capacità di inibire le reazioni emotive impulsive, pertanto darà sfogo alla propria rabbia senza considerare le ripercussioni legali, relazionali, sociali di tali comportamenti. Spesso le persone affette da demenza possono avere disinibizione, anzi molto frequentemente questi comportamenti impulsivi possono essere dei campanelli di allarme, ancor prima che si manifestino i tradizionali problemi di memoria. Mentre però è abbastanza facile per un familiare riconoscere e parlare di un problema di memoria, spesso non è altrettanto semplice valutare la presenza di comportamenti disinibiti. Ecco allora di seguito un breve schema di domande a cui un familiare può cercare di rispondere autonomamente per valutare l’effettiva presenza di disinibizione:
1 Il malato sembra agire impulsivamente senza pensarci? Fa o dice cose che di solito non dice o non fa in pubblico? Fa cose imbarazzanti per voi o per altri?
2 Il malato agisce impulsivamente senza apparentemente considerare le conseguenze?
3 Il malato parla ad estranei come se li conoscesse?
4 Il malato dice delle cose offensive od irrispettose?
5 Il malato dice cose volgari o fa apprezzamenti sessuali che di solito non faceva?
6 Il malato parla apertamente di cose private che di solito non discuteva in pubblico?
7 Il malato si prende delle libertà o tocca oppure abbraccia altre persone in modo diverso dal solito comportamento?
Se avete risposto SI ad almeno una domanda, probabilmente il vostro caro soffre di discontrollo degli impulsi ed è bene parlarne al medico di fiducia per capire quale strategia mettere in atto affinchè questi comportamenti non abbiano conseguenze spiacevoli.
Dr.ssa Paola Milani
Psicologa
- Quando una persona con problemi cognitivi deve smettere di guidare l'automobile?
Questo è un quesito che spesso mette in difficoltà le famiglie.
Possiamo provare a dare un po' di consigli. Il malato ha vissuto almeno una o più situazioni del genere?
• ha dimenticato la strada per raggiungere luoghi familiari;
• ha sbagliato nel rispettare la segnaletica stradale;
• nel traffico ha preso decisioni lente o inadeguate;
• guida a una velocità inadatta alla situazione;
• si arrabbia o va in confusione in mezzo al traffico;
• fa il "pelo" alla corsia che percorre;
• ha sbagliato nel dare le precedenze;
• ha confuso i pedali di acceleratore e freno;
• ha dimenticato la meta durante una gita in auto.
Se sono occorsi episodi di questo tipo, bisogna agire seriamente e tempestivamente per salvaguardare la sicurezza del nostro caro e degli altri. Ricordiamo però che per una persona di una certa età non poter più guidare può avere un forte impatto psicologico negativo percepito come perdita d'indipendenza. E' quindi importante verificare il suo stato d'animo cercando di non incrinare il suo senso di indipendenza, tutelando però contemporaneamente la sua sicurezza e quella degli altri.
L'Alzheimer Association ha diffuso alcuni consigli messi a punto da psicologi per aiutare i membri della famiglia ad affrontare questo argomento col "nonno dicasa":
- iniziate a manifestargli le vostre preoccupazioni,sottolineando gli aspetti positivi che deriverebbero dall'abbandono dell'auto e fategli presenti tutte le possibili alternative;
- in caso di resistenza confermategli il vostro affetto incondizionato e la vostra piena disponibilità ad aiutarlo ogni volta che ne avesse bisogno, però siate risoluti;
- chiedete l'aiuto di un parente stretto o di un amico per incoraggiare la persona a smettere di guidare, a volte è più incisivo il parere d qualcuno autorevole come il medico o il sacerdote piuttosto che dei familiari;
- come ultima risorsa fate sparire le chiavi dell'auto o fate in modo che l'auto non funzioni (ad es. staccate di nascosto i cavi della batteria) oppure fatela sparire del tutto;
- infine allertate il medico di famiglia e i centri esperti affinché vengano fatte le opportune segnalazioni.
Il familiare deve ricordare che tutto ciò non ha lo scopo di togliere dignità ma di garantire sicurezza, ed occorre essere preparati anche a reazioni di forte rabbia che non vanno malinterpretate: possono essere legate a caratteristiche psicologiche che fanno parte del quadro sintomatologico della demenza.
- E' sempre affacendato senza apparente ragione; che fare?
Il wandering è un sintomo comportamentale comune fra i pazienti affetti da demenza. In letteratura esistono diverse definizioni: "un movimento senza scopo" (snjder -1978) "una deambulazione o locomozione solo apparentemente orientata ad uno scopo, ma in realtà non causale o senza scopo" (Hussian- 1987). La mancanza di significato palese di questo muoversi in continuazione, fa sì che il wandering spesso venga interpretato da chi lo osserva come il prototipo di un comportamento bizzarro e irrazionale che crea angoscia e pertanto dovrebbe essere represso. In realtà con le conoscenze attuali sappiamo che non è sempre così: la contenzione/soppressione del wondering non è mai auspicabile a priori, a meno che non sia in pericolo l'incolumità del paziente stesso. Vediamo nel concreto alcuni aspetti positivi ed alcuni negativi di questo comportamento anomalo, che devono essere presi in considerazione per ogni singola persona al fine di valutare se e come intervenire per limitare il wandering o se invece facilitarlo creando condizioni ambientali adatte e sicure. Dal punto di vista di fattori in qualche modo benefici per la persona che presenta wondering si focalizza l'attenzione sui diversi aspetti:
1) costituisce una opportunità di variabilità ambientale e di stimolazione sensoriale;
2) promuove i contatti con gli altri ed accresce la familiarità verso gli spazi circostanti;
3) mantiene le possibilità decisionali tramite la scelta di dove andare;
4) esprime il bisogno di allontanarsi da un ambiente ostile o disturbante per eccesso o mancanza di stimoli o di soddisfare qualunque altro bisogno fisico (fame, sete ) o psicologico (paura, solitudine...);
5) mantiene l'attività motoria ed il benessere fisico con un uso positivo dell'energia che antagonizza l'inattività e la noia spesso causa di accelerazione della degenerazione cognitiva e comportamentale;
6) promuovere la riattivazione di schemi motori del passato (andare in ufficio, fare i lavori domestici...).
Dal punto di vista dei fattori problematici il wandering può:– aumentare la confusione e il disorientamento attraverso l'assenza di stabili riferimenti spaziali;
– costringere il malato a cercare qualcosa che egli stesso non sa denominare o descrivere a sè o agli altri;
– condurre ad un aumento della fatica fisica ed essere causa di perdita di peso con ulteriore compromissione di comportamenti e delle condizioni cliniche in generale;
– compromettere la sicurezza ed accrescere il rischio di cadute;
– causare sentimento di smarrimento e abbandono;
– innescare reazioni negative degli altri quando venga invaso il loro spazio generando così nel paziente più insicurezza e angoscia.
Il disturbo può essere rafforzato dai seguenti fattori:
– ambiente rumoroso;
– clima;
– sovraffollamento;
– vicinanza di un oggetto non gradito;
– illuminazione inadeguata;
– cambiamento di ambiente es.: stanza, casa.
In conclusione, a differenza di altri disturbi del comportamento che devono sempre essere trattati come disturbanti (ad esempio i deliri), nel caso dell'affaccendamento vale più che mai la regola che ogni persona è diversa dalle altre e che per ogni paziente è necessaria una attenta valutazione personalizzata dei rischi e dei benefici di un determinato comportamento.
Dr.ssa Paola Milani
Psicologa
- La persona affetta da demenza necessita di una dieta specifica?
La persona con demenza può perdere la capacità di alimentarsi in modo equilibrato e corretto. Il non ricordare di dover mangiare o d’aver mangiato la può portare a mettersi a tavola anche a breve distanza dal pasto precedente. La difficoltà nell’eseguire gesti abituali provoca un concreto disagio nel preparare, cucinare i cibi e nel nutrirsi: non sa più utilizzare le posate, non riesce a portare il cibo dal piatto alla bocca nella giusta misura e con velocità appropriata, ha difficoltà nel riconoscere i cibi e nell’individuarne perfino la commestibilità. Alterazioni del gusto e dell’olfatto, con compromissione del centro della fame e della sazietà possono portare al rifiuto categorico del cibo o, all’estremo opposto, ad accettare esclusivamente dolci.
La persona ammalata di Alzheimer può assumere due diversi atteggiamenti nei confronti del cibo:
– Mangiare molto più del necessario
– Alimentarsi in modo insufficiente
Nel primo caso mangia troppo, con avidità, senza rispettare l’ordine dei piatti (primo, secondo, eccetera), a volte ingurgita cibo tagliato o cotto in modo incompleto, rischiando anche di soffocare. Vi è il rischio di assumere alimenti troppo freddi o troppo caldi o anche di sostanze non commestibili incorrendo in intossicazioni se non addirittura nell’avvelenamento. La conseguenza più frequente risulta essere un aumento eccessivo di peso, fino all’obesità.Può essere utile allora:
- ricorrere a spuntini non troppo calorici (come verdure crude, frutta, yogurt, grissini, cracker, succhi di frutta)
- limitare le porzioni di cibo nel piatto
- non tenere cibo in vista.
Se si osserva un considerevole aumento di peso o un dimagrimento superiore ai 3 chili in 3 mesi, è opportuno consultare il medico curante per valutare la necessità di un intervento specialistico.
L’alimentazione è una parte importante della vita di ognuno di noi, tanto più in una persona affetta da demenza.
E’ buona norma seguire una dieta equilibrata che contenga carboidrati, proteine, grassi, vitamine, sali minerali e fibra per soddisfare tutti i fabbisogni nutrizionali, non dimenticando l’assunzione di una corretta quantità di liquidi. Se non coesistono altre malattie, come ad esempio il diabete che richiede una dieta specifica, si può variare liberamente il menù quotidiano, tenendo conto dei gusti, delle preferenze e delle tradizioni della persona. Il momento del pasto deve rimanere comunque piacevole.
Dr.ssa Paola Milani
Psicologa